San Cristoforo, un quartiere da conoscere

In un’era caratterizzata da vita frenetica, da comunicazioni che navigano su onde interattive, da lavori industrializzati e compu-terizzati, il modo di costruire un’identità sociale sembra essere cambiato. Al contrario, il quartiere di S. Cristoforo da l’impressione di un luogo nel quale il tempo sembra essersi fermato. Un piccolo mondo rimasto legato alle sue antiche regole, le sue abitudini, i suoi modi di interagire, le sue passioni e le sue paure.
Entrarci e rimanere nella condizione di semplici osservatori può indurre ad un istintivo disprezzo. Viverlo, attraversandolo a piedi giorno dopo giorno, tra viuzze e cortili, respirando l’aria e i suoi odori, ascoltando l’orchestra dei suoi suoni, porta alla condizione di amarlo, nei suoi pregi e con i suoi difetti.
Quando si parla di San Cristoforo inevitabile è il riferimento ai fatti di cronaca nera  percepiti come la caratteristica principale se non addirittura la sua sola peculiarità. Limitarsi a questo non serve al miglioramento della zona, ne aggrava l’isolamento e non agevola la riflessione e lo studio sulle vere cause del male sociale.
Il fenomeno della delinquenza, che trova più facile assunzione ed espressione nella zona di San Cristoforo che non in altri luoghi periferici, ha radici antiche, e in parte può essere spiegato dalla mancata risoluzione di una serie di problematiche.  Innanzitutto la conformazione urbana del quartiere, priva di un piano, di spazi aperti e costituita per la maggior parte da un agglomerato di case di modesto rango che si affacciano in strade strette ha portato conseguenze disastrose. In primis un costante depauperamento culturale ed economico dovuto all’ esodo di quanti raggiungono un certo benessere. In secondo luogo, la presenza di abitazioni poverissime e poco ospitali, obbligano i bambini, nel corso dell’anno, a riversarsi sulle strade del quartiere sin dalla tenerissima età. La maggior parte dei ragazzi gioca lungo le strade o nei cortili anziché dentro strutture che richiedono il rispetto di alcune regole comportamentali, con il risultato che,  inconsapevolmente sono sempre più esposti al reclutamento nell’esercito della microcriminalità. Se a questo aggiungiamo la dispersione scolastica, la disoccupazione e l’insoddisfazione della maggior parte delle famiglie del luogo, ciò che è una piaga sociale si trasforma in un malessere generazionale. 
Tuttavia l’errore più grande è credere che S. Cristoforo sia solo questo e pensare che nulla di valido e sano esista per sperare in un cambiamento. Se così fosse, difficilmente si potrebbe trovare una spiegazione plausibile al fatto che molti tra coloro che lo hanno abitato o ne hanno sentito parlare dai genitori, considerano il quartiere come un tuffo nel passato e nei ricordi dolcemente e gelosamente custoditi. Difficilmente si potrebbe spiegare il perché le persone oneste e lavoratrici del quartiere, che sono la maggior parte, preferiscono rimanere legate ad esso, ac-comunate da un grande senso di identità e di appartenenza difficile da trovare in altri luoghi urbani. Inoltre suscita un fascino particolare lo spirito con cui, ogni giorno, si affronta “la lotta per la sopravvivenza”, reinventando arti e mestieri. Le risorse umane per puntare ad una riqualificazione sociale esistono, e diverse associazioni, Ad Gentes, Spes e Gapa, stanno lavorando proprio per lo sviluppo ed il potenziamento del quartiere, promuovendo e gestendo servizi sociali, culturali, educativi, di formazione ed orientamento professionale e di inserimento lavorativo. Il passo più importante spetta però alle istituzioni, le quali hanno il compito, non solo di valutare a fondo la validità dei progetti proposti per la riqualificazione del quartiere, ma soprattutto credere nel lavoro di queste associazioni e di sostenerle concretamente.
Flavio Calcagno

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